Il designer di prodotti digitali

Come riconoscere un buon designer? Quali metodologie e processi adottare? Come collaborare in modo efficace con gli sviluppatori? Raccontiamo la nostra esperienza dialogando con Matteo Montolli, partner e Design Director di Moze.

Sergio Panagia

Partner, Technical Director

Matteo Montolli

Partner, Design Director

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Sergio Panagia: Benvenuti al podcast di Moze, uno spazio di dialogo e approfondimento tecnico sullo sviluppo di prodotti digitali. Sono Sergio, partner dello studio, e con me oggi c’è Matteo, partner e Design Director di Moze.

Matteo Montolli: Ciao Sergio e ciao a tutti. 

Sergio: Oggi parliamo di designer e di processi organizzativi delle imprese che impiegano designer di interfaccia per prodotti digitali. Tutti cercano buoni designer, non solo le aziende puramente tecnologiche, ma anche quelle tradizionali che oggi cercano di sfruttare il canale digitale. Trovarli, questi designer, però non basta: devono essere poi instaurati i giusti processi per renderli parte di un efficace ciclo di sviluppo del prodotto digitale, e bisogna anche farli collaborare con successo con le altre persone del team.
Matteo, come si trova e come si riconosce un buon designer? Quali sono le sue caratteristiche?

Matteo: Allora, sicuramente dipende molto dal tipo di figura che si sta cercando. Non è assolutamente semplice trovare dei bravi designer, ma la fortuna è che il mercato si sta evolvendo molto e credo che oggigiorno si riescano a trovare sempre più anche dei profili più preparati, più pronti, che conoscono bene le metodologie, che conoscono bene gli strumenti, che hanno anche già fatto delle belle esperienze. Prima di tutto, direi che secondo me sono necessarie alcune soft skill, che per me sono fondamentali nella scelta di un designer.
Prima tra tutte: trovare delle persone che abbiano un ego controllato, direi, perché la tendenza dei designer in genere, mi ci metto dentro anch’io, è di centrare un po’ troppo su di sé l’attenzione. Sarebbe invece necessario trovare persone capaci anche di mettersi il più possibile in team, di mettersi in discussione, di non avere quella pretesa di essere i migliori designer del mondo e fare la carriera più brillante che si possa fare. Persone che vogliono mettersi in gioco e progettare dei prodotti che possano veramente essere utili alle persone.

Sergio: Sì, sfida ardua in tempi in cui siamo tutti un po’ imprenditori di noi stessi, ma riuscire a lavorare con gli altri significa certamente anche rinunciare un po’ al proprio ego.

Matteo: Certo, e di conseguenza anche non essere persone troppo permalose e gelose del proprio lavoro, ma anzi avere quella costante tensione a cercare di mettere in discussione sempre più quello che si fa, quello che si progetta.
Un’altra skill fondamentale, soprattutto quando si lavora nel contesto della UX, dello UI design, è essere grandi appassionati di tecnologia: per disegnare un software bisogna amarli i software, bisogna utilizzarli, bisogna essere appassionati di interfacce. Questo purtroppo non è scontato.
Poi secondo me è importante anche essere persone molto ostinate nel lavoro, persone a cui piace veramente risolvere i problemi, sbattere la testa in continuazione sui vari problemi per risolverli, per trovare la strada giusta e la via più semplice, la via più efficace.
E infine una cosa che mi ha sempre un po’ colpito è la capacità di essere un po’ dei veri Robin Hood… utilizzerei questo termine… quasi saper rubare nel modo giusto, senza avere la pretesa di essere inventori di nuove soluzioni, ma avendo la capacità di adattare a mercati diversi soluzioni simili, senza voler essere i creativi che risolvono i problemi con innovazione assoluta, ma sapendo prendere il buono da chi già ha fatto.

Sergio: Sapere dove guardare.

Matteo: Certamente, questo è sicuramente fondamentale. Infine direi un’ultima caratteristica un po’ atipica, che metto sul piatto della discussione oggi: ho scoperto nel tempo che essere anche un po’ ansiosi è un’ottima caratteristica. Questa è sempre reputata quasi come una debolezza, quindi si cerca di combattere l’ansia, ma alle volte può essere anche quello sprone per una persona per fare meglio, per non accontentarsi mai. Quella forza per riuscire a dare di più, ecco.

Sergio: Insomma, se un candidato designer è un po’ ansioso è un buon segno. 

Matteo: Secondo me sì, secondo me sì.

Sergio: Bene, bene. Senti, parliamo di strumenti, di processi… Negli anni si è parlato tanto, tantissimo, forse anche troppo, di Design Thinking, di ricerca, di interviste con utenti. Noi in Moze abbiamo fatto un percorso un po’ particolare, abbiamo inizialmente sposato filosoficamente il Design Sprint, che è un processo inventato da Jake Knapp in Google Ventures per validare un’idea di business in cinque giorni, dalla comprensione fino al prototipo e al test con gli utenti. Lo abbiamo applicato anche in maniera piuttosto ortodossa, per poi scoprire che questo strumento in certi casi è molto efficace, in certi casi un pochettino meno. Poi abbiamo trovato il nostro modo di fare le cose, il nostro modo di lavorare. Puoi raccontare meglio come è avvenuto questo passaggio?

Matteo: Ok, inizio facendo una breve premessa, dicendo che io non sono un grandissimo sostenitore di metodologie e strumenti, ma le reputo sicuramente utili per definire una strada, per incanalare, per trovare, diciamo, la semplificazione giusta alla grande complessità che è il mondo, perché, appunto, sembra molte volte che gli utenti pensino in modo lineare e agiscano in modo lineare ma… per nulla. L’utente è il caos per definizione, quindi è sempre molto difficile avere lo strumento giusto, quello che risolve tutti i problemi. Sicuramente gli strumenti aiutano e credo che il fallimento sia la vera chiave, il vero motore per trovare gli strumenti giusti. Più si riesce a fallire e più da quello di riesce a imparare e a trovare la metodologia e lo strumento più adatto ad ogni situazione, ad ogni cliente, ad ogni progetto, perché sono sempre diversi, non si può pretendere di applicare in modo pedissequo una metodologia a tutto quello che si fa, ma bisogna sempre trovare la chiave giusta per riuscire a progettare al meglio.

Sergio: Sì, diciamo che al di là di quello che è il processo applicato (la fase di prototipazione e validazione con gli utenti, che sia il Design Sprint o altro, è sicuramente utile) poi, se veramente vogliamo parlare di validazione, il prodotto va realizzato, e a quel punto entrano in gioco gli sviluppatori. Designer e sviluppatori spesso non si parlano. Non è facile organizzare il lavoro per renderli efficaci. Come è fatto, secondo te, un team che integra bene tutte le componenti di sviluppo, dal design alla programmazione?

Matteo: Troppo spesso si tende, in ottica più tradizionale, a separare un po’ il mondo della progettazione da quello dell’implementazione, come se fossero due silos distinti. Quando invece abbiamo a che fare con un prodotto tecnologico non si possono scindere in modo netto, anzi. Il nostro tentativo da sempre, in Moze, è stato quello di concepire un team dove design e sviluppo sono due parti dello stesso processo, dello stesso approccio, dello stesso lavoro, evitando di scinderle. Un processo in cui il developer non è semplicemente un esecutore di quello che il designer ha progettato, ma diventa anche un progettista, cercando anche lui di trovare la soluzione migliore, più semplice e più efficace dal punto di vista tecnologico. Io credo che serva veramente, quando si progetta un prodotto, l’unione tra gli aspetti legati al business, quelli legati alla progettazione e quelli legati all’implementazione tecnologica. Quindi i team dovrebbero essere più uniti, più trasversali, forse meno designer che lavorano tra loro ma più designer e sviluppatori che assieme riescono a trovare le soluzioni giuste, tramite anche metodologie di co-progettazione.

Sergio: Sì, in maniera tale che il concept sia già definito a priori tenendo conto di quelle che sono le complessità tecnologiche e quali sono i giusti strumenti da adottare.

Matteo: Assolutamente. 

Sergio: Anziché farlo dopo, passando il lavoro del designer (i layout) allo sviluppatore che nella sua stanzetta si occupa di programmare il software.
Senti, progetti di design e sviluppo se affidati a un fornitore esterno comportano delle sfide non banali per il cliente che si trova a trattare con uno studio o un’agenzia. Quali sono secondo te le competenze e i ruoli che un’azienda che si rivolge a uno studio o a un’agenzia dovrebbe impiegare per gestire un fornitore in modo efficace?

Matteo: Allora, sicuramente credo sia importante avere delle persone dedicate a uno specifico progetto, delle persone che, se parliamo di progetti tecnologici, comprendano che cos’è la tecnologia, persone che abbiano un background abbastanza tecnico. Secondo me è importante. Soprattutto che conoscano il digitale, che ne conoscano anche i limiti, le difficoltà, che cosa vuol dire riuscire a mettere a terra un prodotto digitale, quali sono le regole del gioco che bisogna seguire. L’altro elemento importante credo sia quello di costruire dei team non troppo grandi, molto focalizzati, dove non sono coinvolti tutti, ma in cui magari all’occorrenza vengano integrate delle persone che possono contribuire al progetto, facendo in modo però che di base le voci non siano troppe e si riesca a essere molto focalizzati sul progetto.

Sergio: Che non ci siano troppe persone da mettere d’accordo.

Matteo: Assolutamente. Lasciare la politica un po’ da parte e focalizzarsi il più possibile sul fare.

Sergio: Bene. Oggi assieme a Matteo abbiamo parlato delle caratteristiche dei buoni designer, di come riconoscere un buon designer. Abbiamo parlato di come impiegare strumenti e processi per la buona progettazione di un prodotto digitale e abbiamo parlato dei ruoli all’interno dell’azienda utili a gestire e portare avanti con successo un progetto. Se avete suggerimenti ed esperienze che volete condividere, scrivete su mozestudio.com.
Grazie Matteo.

Matteo: Grazie a te, Sergio.

Sergio: Ciao!



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