«Imprenditori, pensiamo in grande». Intervista a Lorenzo Frangi, fondatore di Springa

La storia di Lorenzo, che ha inventato una fresatrice robot. Le sfide e le soddisfazioni di un percorso straordinario nei settori della robotica e della manifattura italiana.

Sergio Panagia

Partner, Technical Director

L’ufficio di Lorenzo è sorprendentemente ordinato e pulito per essere anche il laboratorio dove la sua azienda, Springa, sviluppa e testa Goliath CNC – un robot portatile su ruote che taglia legno, plastica e metalli. Nel 2017, Lorenzo e i suoi soci Alessandro e Davide hanno raccolto più di un milione di dollari tramite una campagna Kickstarter. Il loro obiettivo era realizzare una fresa a controllo numerico in grado di lavorare in maniera autonoma aree di lavoro di grandi dimensioni – contenendo al contempo il costo per il cliente finale. Da allora, il loro team lavora senza sosta per completare lo sviluppo del prodotto e avviare la sua commercializzazione. Nello scenario delle startup innovative italiane Springa è un caso un po’ particolare: Lorenzo e i suoi soci sono riusciti ad innovare dal basso in un settore, quello dell’hardware e della robotica, in cui solitamente giocano un ruolo di rilievo solo aziende molto grandi. Con Lorenzo ci sediamo attorno ad una grande tavola in legno al naturale che il team usa per fare prove di taglio; nella stanza ci sono diversi prototipi, componenti hardware e utensili da lavoro.

Ti va di raccontarci qualcosa su di te?

Ho trent’anni, una laurea in Design Engineering, sono nato in Brianza ad una ventina di chilometri da Milano. Del design industriale mi ha sempre affascinato il fatto che non si tratta di una disciplina “univoca”: un buon progettista deve padroneggiare gli aspetti tecnici, ma anche valutare il fit tra mercato e prodotto – focalizzandosi sui bisogni che questo vuole soddisfare. Questo aspetto umanistico è ciò che mi affascina di più nel mio lavoro.

Perché hai fondato Springa?

Sono diventato imprenditore un po’ per caso. Nel 2014 ero affascinato dal trend dei maker e in generale dalla diffusione delle tecnologie di fabbricazione digitale. Mi colpiva l’energia delle persone, quel forte desiderio di fare. Queste tecnologie emergenti – spesso hobbistiche – iniziavano a riscuotere un grande interesse; mi chiedevo però quali potessero essere delle applicazioni pratiche realmente utili. Pensai che il processo di fresatura era un ambito decisamente interessante da esplorare, perché capace di adattarsi a diversi materiali come plastica, legno o metalli. L’idea di Goliath CNC, sviluppata inizialmente come progetto di tesi, convinse me e i miei soci a fondare una nostra azienda, Springa.

L’innovazione: tutti la cercano, pochi la trovano. Voi ci siete riusciti. Come avete fatto?

Abbiamo adottato da subito un approccio orientato alla sperimentazione continua, attraverso la creazione incrementale di prototipi. La filosofia Lean era una scelta obbligata per noi, per via della complessità legata alla componente hardware del nostro prodotto. È stato necessario concentrare il lavoro su piccoli pezzi del prodotto, procedendo un poco alla volta. Abbiamo dovuto imparare ad essere veloci, a non innamorarci della perfezione. Tutto questo ci ha aiutato a ridurre il rischio di costruire il prodotto sbagliato e ad anticipare alcuni problemi, facendoli emergere già nella fase iniziale di sviluppo. Soprattutto è stato fondamentale essere noi stessi i primi utenti del prodotto: conoscevamo molto bene il problema che volevamo risolvere e ci chiedevamo costantemente se stessimo costruendo la soluzione giusta. Questo ci ha aiutato anche a non perdere la motivazione quando i risultati stentavano ad arrivare, o quando le soluzioni progettate sembravano tecnicamente impraticabili.

L’ecosistema italiano vi ha aiutato?

All’inizio abbiamo faticato molto a trovare i fondi necessari ad avviare l’azienda, probabilmente perché in Italia è molto più comune investire sul software, mentre le startup di prodotto hardware sono rare e capital-intensive – quindi più difficili da comprendere per chi non è esperto del settore. Siamo comunque riusciti a raccogliere un primo investimento di 175mila euro grazie a Comeeta, un gruppo di imprenditori e business angel. Abbiamo usato il capitale per realizzare un primo prototipo e per avviare la campagna di raccolta fondi tramite la piattaforma di crowdfunding Kickstarter. Il finanziamento vero e proprio è arrivato grazie al grande successo dell’iniziativa su Kickstarter, dove con i soli preordini abbiamo raccolto più di un milione di dollari. L’accesso al capitale però non è tutto; grazie all’incubazione in PoliHub (l’acceleratore di startup del Politecnico di Milano, ndr) abbiamo potuto accedere ad un vasto network di manager e imprenditori che ci hanno aiutato come mentor e partner. Con alcuni di loro sono nate delle vere e proprie amicizie: quando ho un problema so che posso contare su consigli preziosi. Anche grazie a questa rete abbiamo identificato fornitori – tutti in Italia – validi e competenti a cui abbiamo affidato la produzione; penso davvero che in quanto a manifattura il nostro paese non abbia nulla da invidiare all’estero.

Quanto è difficile trovare collaboratori?

Abbiamo assunto un ingegnere informatico, un designer, un ingegnere meccatronico e una persona dedicata a marketing, customer care e PR. Non è facile trovare le persone con il giusto mix tra competenze tecniche, autonomia e voglia di mettersi in gioco. Durante i colloqui alcuni candidati mi chiedono l’organigramma aziendale, ma noi siamo una startup: il lavoro e i ruoli cambiano in modo organico assieme alle evoluzioni del prodotto e del mercato, settimana dopo settimana. Quando, rispetto al ruolo che dovrebbe assumere, rispondo che nell’organigramma c’è uno spazio vuoto, misuro la sua reazione: se una persona si esalta all’idea di costruire da sé il suo ruolo in azienda, allora significa che è quella giusta; se invece pretende che sia un manager a dirle cosa deve fare, le spiego che in questa fase della nostra crescita non siamo il posto giusto per lei.

Quali lezioni hai imparato in questi primi anni da imprenditore?

La prima lezione che ho imparato è che il dialogo e il confronto decidono del successo o fallimento di una nuova azienda. Coltivare relazioni con manager di grande esperienza ci ha aiutato a strutturare i processi giusti, a identificare soluzioni a problemi che sembravano insormontabili e a trovare la giusta motivazione quando le cose non andavano. È stato fondamentale esporsi il più possibile dal primo giorno: mostrare il prodotto, incontrare persone e aziende, andare alle fiere. Questo ci ha permesso di validare l’idea del prodotto, di trovare preziosi mentor e di raccogliere investimenti.

La seconda lezione è che essere ambiziosi conta. Se hai bisogno di qualcosa, chiedi. All’inizio puntavamo a raccogliere solo il capitale che pensavamo necessario per partire. Ma le cose raramente vanno come le hai pianificate: tornando indietro, nella raccolta fondi avrei puntato da subito molto più in alto, senza temere la grandezza delle nostre ambizioni.

La terza lezione è che il cliente non va mai trascurato. Lo abbiamo imparato sulla nostra pelle avendo ormai da due anni molte persone che hanno investito su di noi e ancora attendono di ricevere il prodotto. Ci è capitato di essere in ritardo nell’invio degli aggiornamenti periodici sullo sviluppo del prodotto: quando è successo, i nostri clienti ce l’hanno fatto notare. Il cliente è la ragione per cui lavoriamo, non va assolutamente trascurato, mai, anche quando il lavoro è intenso e le sfide impegnative.

Cosa diresti ad un giovane imprenditore che avvia una startup?

Gli direi di non avere paura di sottoporsi al giudizio di altri; di frequentare incubatori e fiere, conoscere il mercato il prima possibile. Noi le soddisfazioni più grandi le abbiamo avute quando ci siamo messi veramente in gioco. Appena hai un proof of concept vai e mostralo alle persone che contano, sapranno darti le risposte che cerchi.



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