«La missione del Digital nelle imprese? Diventare inutile»
Intervista ad Alessandro Braga, Chief Digital Officer di Talent Garden.
La crescita mostruosa dei FAANGs (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google) ha contribuito a creare entusiasmo e terrore per il potenziale dirompente di Internet e di altre tecnologie. Molte imprese si chiedono come creare business e modelli organizzativi innovativi usando le nuove tecnologie e i nuovi canali digitali.
Abbiamo intervistato Alessandro Braga, Chief Digital Officer di Talent Garden — il più grande network europeo di coworking e formazione nell’industria dell’innovazione. Alessandro ha scritto per Egea il libro Digital transformation, in cui condivide le sue esperienze professionali e la sua visione sul cambiamento culturale che devono affrontare le imprese per crescere adottando le nuove tecnologie.
Puoi riassumere brevemente il lavoro che stai facendo in Talent Garden e quali sfide ti hanno convinto ad unirti ad una giovane realtà in forte crescita, che conta già 23 campus in 8 paesi?
Dopo tanti anni di lavoro legato all’innovazione, ma in ambienti più tradizionali, volevo lavorare in una startup vera, caratterizzata da una struttura organizzativa leggera e ad alto potenziale di impatto sull’ecosistema. In Talent Garden ho assunto un ruolo che non esisteva, la responsabilità su tutto il Digital. Qui il digital è una cosa strana: siamo una piattaforma fisica per persone che lavorano e sviluppano relazioni; il digitale non è sempre visibile, ma è fondamentale per dare supporto al sistema ogni giorno. Mi occupo di tre aspetti. Il primo è sviluppare servizi centralizzati per far lavorare i nostri collaboratori, che raddoppiano anno su anno. Il secondo è sviluppare tecnologia per i campus, per far lavorare al meglio i nostri abitanti. Il terzo è adottare tecnologie giuste per rendere le persone dei team produttive ogni giorno. In tutti questi ambiti siamo fortunati perché possiamo usare la tecnologia non solo per offrire strumenti di lavoro, ma anche per raccogliere dati che ci permettono di capire come meglio servire i nostri clienti. La nostra ulteriore fortuna, in questo percorso, è avere i nostri clienti davanti agli occhi 365 giorni all’anno.
Una volta hai scritto che il tuo lavoro è diventare inutile, cosa vuol dire?
Credo che “digitale” sia un aggettivo di transizione. Oggi alcune persone hanno gli strumenti e la conoscenza per essere più preparati in questo dominio, ma non sarà sempre così: il digital, in futuro, dovrà diluirsi per andare a finire vicino al business, e nelle varie funzioni aziendali. Centralmente ci saranno service team che forniranno ad altri le competenze e le metodologie per poter supportare al meglio il lavoro. Questa è la filosofia che ho impostato dal primo giorno in Talent Garden.
Qual è la tua definizione di trasformazione digitale?
La trasformazione digitale non è altro che una trasformazione di business. Il digital è solo un abilitatore: c’è un insieme di tecnologie che consente di fare in maniera diversa le cose che facciamo tutti i giorni. Tre fattori. Primo, il digitale disintegra le barriere di ingresso ai mercati — permettendo a nuovi player di entrare in mercati complessi, come per esempio sta accadendo nel settore finanziario. Secondo, il digitale riporta nelle mani dei consumatori il potere di scelta: cambia gli equilibri di forza tra azienda e cliente. Terzo, porta alla ribalta il tema dei dati, una nuova disciplina fino a poco tempo fa non molto conosciuta e sfruttata. L’insieme di questi tre aspetti crea le basi fondanti per fare business in un modo completamente diverso.
Nel tuo libro scrivi che la trasformazione digitale ha a che fare non tanto con la tecnologia, quanto con le persone e la cultura organizzativa. Puoi spiegarci meglio?
Nessuna tecnologia, da sola, fa business o porta cambiamento. Ci sono tecniche per progettare e valutare il ruolo della tecnologia nei progetti aziendali, come per esempio le Benefit Dependency Network: grazie a questi strumenti è chiaro che i passaggi più significativi in azienda riguardano cambiamenti culturali e organizzativi, che forniscono il supporto necessario a trasformare la tecnologia in un business driver. Persino chi vende tecnologia — per esempio chi la sviluppa e brevetta — non potrà esimersi dal cercare clienti o acquirenti per quella tecnologia.
Cosa ne sarà dell’Information Technology in azienda?
Un pezzo di IT finirà nel cloud, dove alcuni processi manuali sono già stati automatizzati. Un pezzo finirà nelle business unit, dove esperti di tecnologia aiuteranno a creare applicazioni utili, che andranno poi a comporre layer di servizio facente capo ad un sistema centrale; un altro pezzo finirà nelle Risorse Umane per supportare al meglio la produttività e così via. In questo senso possiamo prendere spunto dall’ottimo lavoro di Diego Piacentini che, con il team di trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione, ha creato le basi progettuali che tutti possono adattare in modo intelligente per migliorare i servizi del sistema paese. Il mio sogno per il futuro di Talent Garden non è tanto costruire nuove tecnologie, piuttosto dare a tutti modo di avere un account GitHub e gli strumenti per scrivere da sé pezzi di software per svolgere il proprio lavoro, rendendo lo spazio ed i contenuti parte di questo ecosistema. È l’unica strada che abilita un approccio Agile e scalabile al lavoro, altrimenti diventeremo un monolite con un po’ di digital, un po’ di amministrazione, un po’ di legal e così via.
Perché il design sta uscendo dall’ufficio dei creativi e sta arrivando ai piani alti delle organizzazioni?
In Italia ci abbiamo messo un po’ a capire che il design non riguarda l’apparenza delle cose, ma come queste funzionano. Ci sono tre materie che stanno cambiando l’IT: l’Agile, il design e i dati. Il design per me è uno straordinario metodo di semplificazione ed un elemento chiave per effettuare ricerca qualitativa. Diventa anche un elemento essenziale in un contesto dove il potere si sposta verso il consumatore: le scelte saranno sempre più guidate dal design e dalla facilità di fruizione di un prodotto. Mi fa arrabbiare che noi italiani non siamo i numeri uno in questo campo, lo siamo stati nel design di prodotto e non lo siamo più nel design dell’esperienza: è un enorme peccato perché il buon design non dovrebbe essere qualità riservata solo alle grandi industrie di eccellenza, ma dovrebbe estendersi alle piccole e medie aziende che costituiscono la spina dorsale di questo paese.
Creare nuovi modelli di business o nuovi modelli organizzativi “digital” richiede, nel concreto, competenze tecnologiche di cui spesso le aziende sono sprovviste. Cosa possono fare le imprese per colmare questo divario?
L’implementazione è spesso bloccata da mentalità legacy: si ragiona nei consigli d’amministrazione ma poi il digital è visto come un passaggio a valle, responsabilità di qualcuno in azienda. Ci sono poi i processi legacy, pensati senza il cliente e solo in base a requisiti interni. C’è infine la tecnologia legacy: dei tre è il problema più costoso e difficile da risolvere perché prevede di smontare cose che apparentemente funzionano. Chi si occupa oggi di tecnologia dovrebbe creare piccoli sistemi integrati tra loro, dando strumenti di User Experience Design e accesso semplice a dati validati ai singoli, in modo da disegnare processi personalizzati in modo agile e veloce. In questo la metodologia di lavoro è essenziale. Tutte le persone in azienda dovrebbero essere coinvolte nel migliorare i processi sui quali lavorano perché solo loro hanno la giusta conoscenza e sono abbastanza vicini al cliente per capire davvero cosa serve. Per questo servono risorse, anche tecnologiche, ma soprattutto tempo. Il tempo necessario a sganciarsi dalla routine e migliorare il proprio lavoro. Una cosa che dico sempre al mio team è “domani hai mezza giornata libera per fare quello che vuoi, ad una condizione: sfruttala migliorando qualche aspetto del modo in cui lavori oggi. Accetti la sfida?”.
Una cosa che dico sempre al mio team è “domani hai mezza giornata libera per fare quello che vuoi, ad una condizione: sfruttala migliorando qualche aspetto del modo in cui lavori oggi. Accetti la sfida?”
Come sarà il futuro del lavoro?
Vedo individui che lavorano su scala europea e non più italiana supportata da forme contrattuali completamente diverse. Micro-team che si aggregano per risolvere problemi, spinti da purpose e obiettivi profondi e complessi, sempre meno attivi su task facilmente automatizzabili. Apple Academy già oggi, ai suoi studenti a Napoli, non dà nessun brief: gli studenti si organizzano per risolvere problemi a cui tengono — spesso questi hanno un impatto di utilità sociale.
Se ci pensiamo questo è il vero spirito che muove una startup: un’organizzazione temporanea fatta di persone che si aggregano perché percepiscono che c’è qualcosa che non funziona, e la vogliono aggiustare.
Cosa ti tiene sveglio la notte?
Ora come ora far crescere Talent Garden, puntando ad un grande risultato tra il 2021 e il 2022. Più nel lungo periodo vorrei riuscire a portare queste competenze alle aziende che a causa del cambiamento tecnologico non resisterebbero, mettermi al fianco di imprenditori e manager ben consapevoli del bisogno di cambiamento e del fatto che purtroppo ciò che ha sempre funzionato non è più la ricetta per affrontare il futuro. Non sono sicuro che sarà un vero e proprio lavoro ma non vedo altro modo per farlo e per aiutare l’ecosistema. E come sempre negli ecosistemi la prima azione da fare è dare valore e non cercare immediatamente di raccoglierlo; questo sarà il mio contributo.